Posso dirlo?
La levata di scudi dei dirigenti scolastici contro l’obbligo di lasciar traccia “biometrica” della loro presenza in servizio mi sembra un clamoroso autogol.
Al Ministro si doveva semmai chiedere perché non debba invece cessare per i docenti lo storico privilegio di non “timbrare il cartellino” a inizio e fine giornata, che invece – ne sono certo – farebbe risparmiare alle scuole parecchi quattrini sulla retribuzione delle “ore eccedenti” per la sostituzione degli assenti, dato che ai ritardatari cronici si potrebbe facilmente richiedere il recupero dei minuti ricorrentemente sottratti.
Per l’obbligo a carico del personale A.T.A. nessuno al momento solleva obiezioni, perché lo si farà semmai nelle singole scuole, rivendicando per ciascuno il diritto di rispettare un orario personale su misura, in tutti i casi in cui l’abolizione delle comodissime “firme di presenza”, che consentono ai meno attenti di “arrotondare” quando ritardano o escono qualche minuto prima per qualche motivo personale o di famiglia, creasse problemi a qualcuno.
Ma torniamo ai dirigenti.
Per quindici anni, all’Istituto “Calvino” di Rozzano, che dispone di cartellino in entrambe le sedi che lo compongono, ho regolarmente timbrato: il “badge” numero 1 era il mio.
Lungi dal ritenermi “libero di fare quello che voglio” di non dover “rendere conto a nessuno” (molto incautamente l’ha detto – pare – la collega arrestata in Liguria per aver fatto uno smodato uso personale dell’autovettura di servizio della propria scuola) ho sempre ritenuto di dovermi mettere in condizione di provare al mio datore di lavoro e al mio superiore (il direttore generale) la mia presenza in servizio nelle scuole che ero incaricato di “presidiare”: convinto, per di più – lo ribadisco a beneficio dei nuovi futuri colleghi – che per far funzionare a dovere le scuole bisogna esserci, perché non si può gestire “in remoto”, per via telematica, la complessa trama di relazioni interpersonali che costituisce il “prodotto” dell’azienda scuola.
Non solo: dato che si educa non con le prediche, ma con l’esempio, è fondamentale che chi guida un’organizzazione si proponga come modello di dedizione al lavoro, sia rispetto ai propri dipendenti, sia, soprattutto, nei confronti degli studenti e delle famiglie, che hanno l’assoluto bisogno di sapere che il proprio preside “c’è”, e quando serve è pronto ad ascoltare e a intervenire.
Quest’ottica è condivisa dalla larga maggioranza dei colleghi che lavorano “in presenza” almeno una cinquantina di ore alla settimana, e quando occorre anche di più; non vedo quindi alcuna ragione per opporsi alla rilevazione della propria presenza, che farebbe semmai emergere con assoluta chiarezza, anche dal punto di vista quantitativo, la complessità e la delicatezza del nostro lavoro.
Viceversa, sollevare “questioni di principio” serve soltanto a consentire interpretazioni corrive e indulgenti del dettato contrattuale che non prevede un orario settimanale di servizio, ma lo rimette fiduciosamente al senso di responsabilità del dirigente, supponendolo consapevole dei molteplici compiti che è chiamato a svolgere per assicurare la “efficiente ed efficace” gestione della propria scuola.
Sono casi piuttosto rari, ma tutti abbiamo conosciuto o conosciamo presidi che entrano alle nove e se ne vanno all’una, o che arrivano a scuola a mezzogiorno per evitare le seccature e le perdite di tempo che costellano la mattinata: e non vale poi “fermarsi fino alle sette di sera”, dopo che si è clamorosamente mancato al dovere di ascoltare i docenti, i ragazzi e i genitori, delegando ai propri collaboratori e ai docenti anche le questioni più delicate che meriterebbero un intervento del dirigente in prima persona.
Certo, è vero che anche in presenza dell’obbligo delle “timbrature” ci vorrebbe poi qualcuno, dall’alto, che si prendesse la briga di verificarle e di chiedere a certi dirigenti come fanno a essere così bravi a sbrigare in poche ore le incombenze che costringono la larga maggioranza dei comuni mortali a lunghe e defatiganti presenze a scuola: perché si può pur essere bravi a delegare e motivare, ma resta sempre un sacco di lavoro da sbrigare in prima persona. E qui si può aggiungere che sarebbe bello che, anziché far compilare carte inutili per una valutazione dei dirigenti tutta formale e priva di riscontri economici, ci si prendesse la briga di seguire un po’ meglio e più da vicino l’operato dei dirigenti, che – salvo i casi sopra censurati – non hanno nulla da temere o da nascondere, e ai quali farebbe soltanto piacere che ogni tanto qualcuno andasse a trovarli. Quando, una volta, in conferenza di servizio, incautamente lo promise un provveditore di nuova nomina, fu sommerso dall’ilarità generale dei presenti: ovviamente non lo fece, e approdò assai presto alla pensione.