Checché se ne dica, è perfettamente chiaro che il secondo periodo didattico dell’anno scolastico 2019/2020 è andato in fumo.
Gli sforzi di molti per alimentare la didattica “a distanza” sono lodevoli e possono produrre utili risultati, ma il limite fondamentale insito nella mancanza della relazione quotidiana e diretta fra insegnante e alunni, sotto il profilo sociale e cognitivo, è oggettivamente insuperabile.
Ogni buon insegnante conosce l’importanza fondamentale dei momenti in cui in classe percepisce che “sta passando la corrente”, che la relazione è viva e il processo apprendimento è in corso; altrettanto fondamentale è la fase di controllo, la cosiddetta “dimensione formativa” della valutazione, che da un lato restituisce all’alunno la conferma, o meno, del buon esito del proprio apprendimento e orienta, dall’altro canto, il lavoro dell’insegnante, che ne ricava informazioni utili sull’efficacia del proprio insegnamento, o sulla necessità di riproporlo con un diverso linguaggio o con altre strategie.
E attenzione: non si pensi che questa valutazione formativa avvenga attraverso apposite verifiche o prove strutturate. Si possono fare, sì, e risulteranno sicuramente utili; tuttavia, la maggior parte di questo fondamentale processo si svolge durante l’interazione diretta in classe, quando guardi i tuoi alunni negli occhi, quando li coinvolgi e li solleciti a partecipare.
Se tutto questo è vero, e io personalmente ne sono più che mai convinto, continuare ad affermare che l’anno scolastico sarà comunque “valido” sa un po’ di ipocrisia e di imbroglio, sebbene vi siano alcune buone ragioni per sostenere che la carriera scolastica dei bambini e dei ragazzi non debba essere compromessa dall’emergenza in corso.
Si possono certo trovare le soluzioni amministrative più idonee per addomesticare la valutazione finale e per mettere in scena un esame di stato che tenga conto dell’eccezionalità della situazione, ma scusate: questo “tener conto” non consisterà di fatto nel “sorvolare”, più o meno elegantemente, sugli esiti di apprendimento non raggiunti?
Sono stato sempre nemico della bocciatura (che non c’entra niente con la “serietà” della scuola), ma sono sempre stato convinto, da insegnante e da preside, che i ragazzi e le famiglie non debbano essere presi in giro, come avviene quando si elargiscono voti e punteggi sproporzionati rispetto ai risultati di apprendimento raggiunti. È esattamente quanto avverrebbe alla fine di quest’anno scolastico, se non si preferisse rivolgere ad alunni e genitori qualche parola di verità, inducendoli a riconoscere che metà di quest’anno è andata perduta: per “colpa” di nessuno, ma è andata perduta e va recuperata.
Una soluzione ci sarebbe, e sono convinto che sarebbe meno impopolare di quanto possa parere a prima vista.
Escluso che si possa far lezione a giugno inoltrato in aule torride, nel mese di settembre 2020 non dovrebbe iniziare un nuovo anno scolastico, ma dovrebbe essere portato a termine quello corrente, con scrutini ed esami prima di Natale. Certo, chi dovrebbe iniziare la prima classe di scuola primaria dovrebbe frequentare qualche mese di scuola dell’infanzia in più, e iniziare a gennaio 2021 per poi finire a dicembre, e così via.
Certo contraddiremmo, con effetti duraturi, una secolare consuetudine: ma non esiste una legge divina che stabilisca che l’anno scolastico non debba coincidere con quello solare (tra l’altro, si tratta di una sfasatura che, dal punto di vista amministrativo e finanziario, comporta diverse incongruenze); rispetto, poi, alle tante dolorose cicatrici che la strana guerra che stiamo vivendo lascerà nel nostro animo, nell’economia e nella società, non credo proprio che possa essere questa la più grave.